La Rosa di Lesegannor, il romanzo di Cicu in cui la Sardegna è simile alla terra di mezzo di Tolkien.

Loredana Cicu, scrittrice, ma anche editrice, giornalista e nota per la sua passione per l’arte e la storia, in un’intervista ci parla del suo ultimo romanzo “La Rosa di Lesegannor” (Condanghes Edizioni), che racconta di una giovane sposa del medioevo con un destino già segnato da serva e schiava del padrone, in fuga da soprusi e violenze, salvata poi da alcuni cavalieri di ritorno dalla Terra Santa e nascosta in un monastero, dove inizia per lei un vero e proprio percorso di riscatto e rinascita., scrittrice, ma anche editrice, giornalista e nota per la sua passione per l’arte e la storia, in un’intervista a Spraynews, parla del suo ultimo romanzo “La Rosa di Lesegannor” (Condanghes Edizioni), che racconta di una giovane sposa del medioevo con un destino già segnato da serva e schiava del padrone, in fuga da soprusi e violenze, salvata poi da alcuni cavalieri di ritorno dalla Terra Santa e nascosta in un monastero, dove inizia per lei un vero e proprio percorso di riscatto e rinascita.

Cicu da cosa nasce la passione che l’ha portata a scrivere quest’opera?

«Ho sempre scritto, ma in contemporanea ho avuto anche una casa editrice, cosa pazzesca e allo stesso tempo entusiasmante. Allo stato, però, ho deciso di scrivere solo per me, libri, romanzi e articoli. Sono, infatti, appassionata di arte e storia. Diciamo che miro a un target di qualità. L’obiettivo è lasciare un qualcosa di culturale alle nuove generazioni».

Perché ritiene che il libro possa rappresentare una novità?

«E’ il mio primo romanzo storico e mi è particolarmente caro perché frutto di un lavoro durato oltre tre anni e composto da una dettagliatissima ricerca negli archivi. Racconta, infatti, la storia di una donna schiava del 1150 che pur avendo un destino segnato, viene salvata da due amici di Bernardo di Clairvaux. E’ un percorso di illuminazione, ricerca spirituale, combattimento che è piaciuto moltissimo a chi ha avuto il piacere di leggerlo».

Una storia così affascinante può diventare un film?

«Mi sono classificata in un concorso organizzato dal Mibact tra le migliori quindici d’Italia per sceneggiatura e trattamento filmico. Non escludo, pertanto, che potremmo trovare questa storia presto sul grande schermo. All’ultimo festival del cinema di Roma, infatti, ho trovato molte persone appassionate alla trama. Al momento non ci sono ancora produttori, ma sono certa che un lavoro di perfetta coesione storica, addolcito da una storia romanzata, essendo al centro il tema dell’amore a breve possa conquistare anche gli amanti del cinema. Al momento, intanto, stiamo promuovendo ancora il libro».

Si tratta di un lavoro che serve a valorizzare un territorio spesso poco conosciuto come quello sardo….

«La Sardegna, che in una parte della sua storia sembrava così oscura, a contatto con i templari, con San Bernardo, si rivela un mondo affascinante. Il Nord Sardegna, sin dall’anno mille, è entrato in contatto con tutta l’Europa, perfino con i crociati e la Terra Santa, coi templari e con vari tesori, di cui uno è proprio oggetto della mia storia».

Ci sarà una continuazione della “Rosa di Lesegannor”?

«Ci sarà un proseguimento della storia perché si conclude dopo tante vicissitudini piacevolissime con i due protagonisti che partono. La gente vuole sapere che fine facciano».

Particolari sono i nomi dei luoghi che fanno pensare in un certo senso a quelli della Terra di Mezzo del Signore degli Anelli…

«Il racconto si attua su una storia autentica, dopo una ricerca di archivi con nomi scomparsi, ma reali, simili a quelli di Tolkien inventati per il Signore degli Anelli. E’ affascinante come leggendo il libro ci sembra a volte quasi di essere in Inghilterra. Lo stesso Tauren, pur sembrando un villaggio elfico, è una località sarda. Per tale ragione, questo mondo ha affascinato artisti e critici d’arte, come nel caso di Vittorio Sgarbi che è rimasto sbalordito da tutto ciò. La Rosa di Lesegannor andrebbe pubblicato quasi solo per i nomi, che affascinano tutte le età».

I luoghi di cui racconta sono anche mete di incontri culturali o meglio ancora una lezione dal punto di vista dell’integrazione, tema oggi sempre più attuale…

«Parlo della difesa dei confini, ma anche dell’integrazione, che a quei tempi in quest’area già sapevano fare molto bene i templari. Essi portarono delle novità, pur mantenendo i propri usi e costumi».

La donna all’epoca dei templari, quindi, era già un primo passo verso quel processo di emancipazione, che oggi chiamiamo pari opportunità?

«Alcune famiglie, come gli Arborea, trattavano le donne con rispetto diverso da quello del contesto dei regni europei durante l’anno mille. La donna era un po’ più libera. Pur essendoci ancora i servi della gleba in quel tempo, la protagonista della storia dimostra come non sia vero che esiste un momento in cui le donne sono ferme, piuttosto ci sono delle grandi personalità che emergono grazie all’apporto di questi templari che permettono loro di intraprendere un cammino di illuminazione e perché no di emancipazione, che prima le farà diventare combattenti nella vita per sfuggire a matrimoni di sangue e infine le porterà a un’evoluzione totale».